IL COMMENTO Il buon uso dei social come buona convivenza – Il Golfo 24

2022-07-01 19:02:31 By : Mr. Joway Zhang

Il social è il nuovo IPER-spazio perché ogni cosa che finisce nel suo interregno è sottoposto a inflazione. Le foto sono prodotte in serie come i barattoli di nutella, la società si dilata fino a implodere su se stessa nella categoria delle cose tutte uguali. Si dice: il social è il nuovo IPER-spazio perché è un Iper-mercato che vende le immagini all’ingrosso, perché sulla voce “bella” ci sono tantissime cose belle e alla voce “buono” ci sono tantissime cose buone e allora ciò che è buono e ciò che bello, pur sfuggendo alle convenzioni della moda, rifugge comunque all’interno di una nuova categorizzazione. Ma questo discutere sulle qualità e anti-qualità dei social non è il perno di ciò che vogliamo esplorare come si fosse naviganti in questo web-mare così immenso, in cui per orientarsi occorre osservare i cieli delle volte telefoniche e le costellazioni delle parole digitale e dove non esiste più il confine tra occidente e oriente e l’uno si riversa nell’altro instancabilmente. Bisogna pensare ai social come a una sostanza liquida in cui l’informazione ha forme labili e contenuti forti, che si sposta da uno smartphone all’altro e riduce i confini nazionali a fili sottilissimi di fibra ottica e sembra davvero che tutto il cosmo sia lo schermo del mio(tuo)cellulare. Ma nell’Iper-mercato dei social sono davvero presenti solo le cose belle e perché, qualora si mostri il brutto, questo non è esente da critiche? E cosa è il brutto per i social e che cos’è il bello?

Il discorso non è semplicissimo e non è semplicistico: gli ideali di bello e brutto sono la dicotomia su cui si fonda l’immagine del mondo e in tanti hanno provato a superarla, a scavalcarla e a sovvertirla ma nessuno vi è realmente riuscito senza creare a sua volta una nuova categoria in cui è bello ciò che è brutto oppure in cui è bello ciò che sembra brutto. Gli standard instagrammatici e instagrammabili sono altissimi, checché si dica. Ci si rende conto conto volte che per raggiungere quella parvenza di perfezione, anche nella foto brutta, non tutte le fotocamere sono all’altezza ragion per cui l’ansia dei social diventa un’ansia di vivere e lo smartphone non è più un oggetto quotidiano di compagnia ma una sorta di lavoratore precario al soldo di chi. Si chiede allo smartphone di essere all’altezza delle aspettative, le foto sui social sono i tessuti con cui Aracne sfidava la dea e davvero questi feed curatissimi compaiono a nostri occhi all’unisono come mosaici creati dalle nostre ansie e tele di ragno. Ma quell’ansia di apparire perfetti non riguarda forse quell’urgenza che gestisce e incanala i nostri comportamenti fuori l’uscio di casa? E allo stesso tempo e in egual modo è corretto deificare l’a-normalità, trasformare la bellezza in un bisogno primario? E poi esiste il dominio improrogabile del gusto personale che è un modo parafrasastico di dire che non è bello ciò che è bello ma ciò che piace. 

Esiste allora un confine labile e sottile tra l’essere e apparire, esistono confini nazionali sottili come fili di cotone e si possono intrecciare e tessere per lenzuola e foulard bellissimi, e sembra ci si possa saltare sopra e attraverso, come quando si giocava alla corda. E allora tutti questi confini, tutte queste mode, tutti questi fili si mischiano nell’Iper-mercato dei social; si confondono le finestre di casa con le vetrine delle strade e avere uno smartphone equivale ad avere un tempo nel quale si “è sempre fuori” e non è necessario “mostrarsi dentro”. Ma perché per forza bisogna denunciare il male di questa trasformazione, di questa trasgressione del privato, di questa trasmutazione dei linguaggi che da prosaici stanno diventando ultra-brevi per accontentare il nuovo gusto della velocità? Ma perché bisogna per forza maledire il nuovo per tornare indietro e il “tempo indietro” era poi davvero tutto perfetto e tutto bello? Ma perché bisogna temere il cambiamento e tenere la crisi? Il termine “crisi” aveva un significato proficuo per gli antichi perché indicava la rottura di un equilibrio che va accettato come una grazia e un dono perché è il vaticinio di una rinascita, di una trasformazione. Le nuove cose non necessariamente devono adoperarsi per essere negative ma possono essere foriere anche di bellezza, nuove modalità di espressione e soprattutto di emancipazione e redenzione.

I nuovi concetti di bello e brutto, di cattivo e buono, di formale e informale, di asciutto e bagnato e di sopra e sotto si stanno tramutando in cose nuove, che nessuno di noi ha mai visto. Ci chiediamo se sia un bene, se non lo sia, ma di nuovo, ecco, come in un cerchio il relativismo ci fa da luce e allora: un buon uso dei social quanta ricchezza può portare? E non si parla di ricchezza economica, perché il valore di una fotografia ben scattata è un capitale le cui dinamiche interne non sono note e rispondono a esigenze di imitazione e decoro che non sono sempre chiare poiché soddisfano i nostri naturali sensi estetici e ci appagano, ma si parla di ricchezza culturale perché per un mondo del 2022, impacchettato nel cellophane, l’inter-culturalitá è un bene prezioso come l’acqua e ci occorrono mezzi potenti come i social capaci di collegare, in pochissimi secondi, due poli disgiunti dallo spazio e dal tempo agli antipodi del mondo per poterlo coltivare.

E allora il buon uso dei social, si conviene, è da considerarsi un fattore vincente della buona convivenza antropica, un egregio lume della consapevolezza sui guai del mondo, il dominio di molte sciocchezze (ma a volte anche il trash risponde a un’esigenza di soddisfacimento del piacere mentale), l’interpretazione di nuovi modi di dire e di fare, ma anche fucina e laboratorio in cui un dio-che non è più Efesto, che forse è Atena- partorirà nuovi modi di rassettare il mondo e il cosmo.

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